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Fermana, Brini ha capito che aria tira… Fare bene il compito non basta più: serve altro per superare esami dall’esito sempre scontato

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Stavolta andiamo controcorrente. Per l’occasione fuggiamo da un’analisi puntuale della gara di Senigallia, con i suoi pro e i suoi contro, con le rivendicazioni e il rammarico, per inoltrarci sul difficile piano di una lettura più generale. E lo facciamo partendo da una constatazione: occorre uno scossone, serve scrollarsi di dosso quella sensazione di fatalità che da anni accompagna ormai la Fermana e che sembra portare sempre in un’unica direzione.
Quel senso di fatalità – spieghiamo – che una volta mette al centro l’errore individuale, un’altra volta pone l’accento sul pezzo di bravura avversario, un’altra volta ancora sull’evidente errore arbitrale, ecc… Tutto vero, tutto sacrosanto, tutto clamorosamente evidente. Ma c’è un momento nella storia di una squadra che queste letture non bastano più, serve qualcos’altro che continuare a svolgere il compito in maniera pulita e sufficientemente ordinata. Serve ribellarsi al destino, serve trovare dentro di sè le forze per andare oltre l’ostacolo, opporsi a un fato cinico e provare così a rovesciare la cattedra. Altrimenti si andrà avanti all’infinito – come lo scorso anno in C, o come l’anno prima ancora – a dire che le potenzialità ci sono, che in fondo la Fermana se la gioca con tutti e che la prossima occasione sarà quella buona. Uhm, già… tutte cose già sentite e vissute…

Quella difficoltà di incidere sulle carenze dell’avversario

“Noi non siano riusciti, quando abbiamo avuto le occasioni, ad essere precisi. E in certi momenti siamo stati anche egoisti, andando alla ricerca del gol personale. Questo non va bene, per il semplice motivo che siamo una squadra, non giochiamo a tennis…E allora bisogna lavorare su questo: non possiamo sbagliare gli ultimi passaggi, perché poi diventa difficile”. Così Fabio Brini nelle interviste post gara. E ha aggiunto: “A livello prestazionale la squadra c’è ma adesso deve fare qualcosa di più, perché non basta più scendere in campo ed avere quella cattiveria, quella forza per fare le cose. Perché poi commettiamo degli errori ingenui… Purtroppo questa è una squadra giovane ma noi non abbiamo il tempo di aspettare una crescita nel lungo periodo. Noi dobbiamo crescere subito… perchè le piccole cose fanno la differenza”

Le dichiarazioni post gara di mister Brini sono state per noi una ventata di aria fresca. Il tecnico, dall’alto della sua esperienza, ha intuito il rischio che corre la sua Fermana in queste settimane. Sì, perchè il futuro è adesso, la crescita deve essere veloce ed è arrivato il momento di non soffermarci troppo sui pur evidenti errori arbitrali – abbastanza clamoroso quello di Senigallia, con il rigore non concesso ai canarini – per pensare invece a ciò che possono fare i giocatori in campo per fronteggiare un destino che di volta in volta assume il volto di qualcuno: dall’avversario che celebra una prodezza balistica alla giacchetta nera che si mostra incapace. Ma quando saliranno in cattedra i gialloblù per loro meriti oggettivi? Dopo il mercato invernale più di qualcosa è stato fatto: alcuni giocatori hanno indubbiamente alzato il livello tecnico e fisico della squadra, ma i complimenti interessati degli avversari non devono e non possono bastare più. Anzi, inviteremmo a sani gesti scaramantici.
Anche Antonioli ha fatto i complimenti ai gialloblù, ma la sua Vigor non vinceva dall’8 dicembre e aveva raccolto solo 4 punti nelle ultime 7 gare. Eurogol a parte, perché la Fermana non approfitta mai di carenze che – con questi numeri – sembrano evidenti nelle squadre avversarie? E’ questo il vero quesito da porsi. Perché la Fermana non incide sui punti deboli altrui come gli avversari riescono sempre a fare con quelli dei canarini? Forse è questa la domanda a cui rispondere…

Quei momenti da cogliere al volo

Ci sono momenti nel corso delle partite che vanno colti al volo. E invece la Fermana è sempre in “ritardo” con la storia calcistica dei singoli eventi. E’ una sensazione, una valutazione magari emotiva. Ma la classifica parla chiaro: manca sempre qualcosa per festeggiare, si perde sempre l’attimo per “rubare” un match, per effettuare una giocata decisiva, e per raggranellare così anche più di quello che si merita. Quante volte in casa canarina si è gridato al fato avverso per partite perse pur non meritandolo? Per avversari che hanno sfruttato al meglio gli errori dei canarini? Per aver le squadre avversarie raccolto il massimo con il minimo sforzo? Ne sono piene le cronache anche di questa stagione. Ma raramente è successo il contrario. Forse solo ad Ascoli contro l’Atletico, o ad Avezzano con quel rigore in zona Cesarini. Per il resto, sempre grandi sforzi per ottenere il minimo sindacale. Non può più andare bene, questo appare chiaro. Le partite si assottigliano e ogni gara andrà giocata come una vera finale.

Insomma, occorre crescere in fretta in sicurezza e autostima, in fiducia verso se stessi e verso le dinamiche dei match; occorre preferire il “noi” all'”io” (come ha detto Brini), serve diventare più cinici. Serve cattiveria nella giocata, non solo sul piano agonistico. Serve, in definitiva, diventare un collettivo nel vero senso della parola. Solo un collettivo, infatti, riuscirà a superare mancanze arbitrali, eurogol avversari o errori individuali per rimettersi in carreggiata e rimanere competitivi. Ne gioveranno tutti. Nelle rimanenti partite di campionato e, magari, in quei playout che nessuno vorrebbe ma che sono compagni di viaggio dei canarini ormai da troppi mesi.

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