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Battaglioni, back to the future. “Calcio in mano ai procuratori, e dirigenti non sempre all’altezza. Io coinvolto? Con un progetto serio…”

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Lo ammettiamo: parlare con Giacomo Battaglioni è stato come fare un salto indietro di 25 anni. Abbiamo contattato l’ex presidente della Fermana Calcio 1920, il presidente della Serie B, del punto più alto toccato dalla Fermana nei suoi oltre 100 anni di storia. E il presidente della successiva, rovinosa caduta. Ma il dirigente che ha legato in maniera indissolubile il suo nome alla storia gialloblù.
Perchè Battaglioni? Perchè mai ci era capitato di assistere negli ultimi anni a una sua presenza cosi frequente in città, dapprima fotografato con Massimo Perra alla festa promozione del Salvano in Terza categoria, poi alla presentazione dell’intesa per il passaggio del marchio “Fermana 1920” alla città di Fermo. E’ stato lo stesso Giacomo Battaglioni a cederlo al Comune per il tramite dell’Asite. Il marchio fu ideato e adottato per la prima volta da Battaglioni nel 1996, non appena subentrato alla guida della Fermana – subito dopo la promozione in Serie C1 – e utilizzato fino alla stagione 2005/2006. Lo abbiamo contattato telefonicamente mentre era nel suo studio romano. Quella che ne è uscita è una chiacchierata bella, cordiale, intrisa – possiamo dirlo? – di bei ricordi e mai di malinconico rancore. Eccone uno spaccato.

Presidente (continuiamo a chiamarlo così, ndr), come va?
“Bene, grazie! Lavoro e vivo a Roma, ogni tanto cerco di godermi le Marche e la mia Gualdo. L’intenzione, andando avanti con gli anni, è quella di passare 6 mesi nella Capitale e 6 mesi a Gualdo. Vedremo”.

L’abbiamo vista spesso a Fermo negli ultimi tempi. L’ultima volta per la cessione del marchio “Fermana 1920″…
“Un contenzioso che andava avanti da troppo tempo. Alla fine ho aderito con piacere alla richiesta e abbiamo trovato un accordo. L’unica condizione posta è che il marchio non deve andare a una società ma deve rimanere al Comune. Il calcio è un fatto anche identitario, sarà il Comune poi ad affidarlo a chi ritiene affidabile”.

Lei è uomo di sport e a Fermo ha vissuto momenti entusiasmanti. E non penso di sbagliare nel dire che è rimasto legato a questa città e a questo territorio e ne avrà seguito gli sviluppi.
“Ricordi belli, indubbiamente. Sì, non posso negare di aver seguito costantemente le vicende della Fermana. E non penso di offendere nessuno nel dire che una società forte forse non c’è più stata! Sono rimasto in contatto: spesso in passato mi ha chiamato Maurizio Vecchiola a cui ho dato anche dei consigli. Ma lui in quei frangenti si fidava di altri… Il calcio è una brutta bestia, occorre stare attenti!”.

Parliamone di questo calcio… Come è cambiato rispetto a 20 o 25 anni fa?
“Il calcio è sempre stato un settore particolare. Da fuori sembra tutto bello, ma non sempre è così. Non penso di dire cose sbagliate nell’affermare che negli ultimi anni è in mano ai procuratori che gestiscono calciatori e le stesse società, anche perchè la qualità dirigenziale è scesa. Dirigenti che non conoscono le norme e si affidano ad alcuni soggetti, rischiando di fare poi una brutta fine. Oppure perché le società sono in mano a presidenti che hanno i loro interessi diversi”.

Eppure lei nel calcio ci entrò di getto!
“Entrai nella Fermana perchè c’erano mio cugino Stefano Battaglioni e Mauro Nocelli, che erano in società a supporto di Paolo Belleggia. Io allora ero alla Caf (Commissione d’Appello Federale, la Commissione della Figc che giudicava in ultima istanza sulle controversie di giustizia sportiva, oggi dismessa, ndr). Tutti e tre insieme cominciammo a togliere tutto ciò che secondo noi non funzionava. Non ho voluto un direttore sportivo, mia scelta, e non facevo entrare nemmeno i procuratori in sede! Io volevo parlare con i giocatori, poi loro potevano confrontarsi con chi volevano. Avevo già visto l’andazzo. Oggi il presidente De Laurentis del Napoli si lamenta, ma è arrivato tardi… Ricordo che eravamo riusciti a creare un settore giovanile importante, con risultati di tutto rispetto. Finali nazionali contro Inter, Juventus, ecc…”.

Ma oggi è davvero impossibile fare calcio in provincia?
“Occorre partire dal basso. Non è tanto un problema economico. Del resto, rispetto ai miei tempi, gli stipendi medi, per esempio, sono molto più bassi, spesso dimezzati. In terza serie si pagano 30 o 40 mila euro giocatori che ai miei tempi ne prendevano 70 o 80 mila! Ma occorre avere strutture, campi da gioco… Serve un progetto, insomma! I soldi senza un progetto serio non bastano: finiscono prima ancora di cominciare e non si costruisce nulla. Quando contattato, avevo ribadito questo. E se c’è un progetto, si trovano anche i soldi”.

Ai tempi, aveva anche idee all’avanguardia!
“La mia aspirazione era quella di fare a Fermo una struttura polifunzionale, un centro sportivo. Avevo individuato a Campiglione un’area e avevo già versato al proprietario 50 milioni di lire di caparra. Avevo presentato un progetto. Ci sarebbero stati uno stadio nuovo, campi da gioco, un villaggio da vivere 365 giorni all’anno e non solo per le partite. Un centro dove le mamme che portavano i figli ad allenarsi potevano rimanere ad attenderli, trovando servizi. Dopo un anno di attesa, ci rinunciai. Oggi tutti vogliono stadi di proprietà… Sarebbe stata una struttura aperta a tutti, alle attività ludiche, anche ai concerti estivi. Non se ne fece nulla. Poi, mentre decidevo cosa fare, abbiamo avuto la sfortuna di vincere il campionato e andare in B (dice sorridendo, ndr!”.

Ma se le chiedessero di tornare a dare una mano alla Fermana, di fornire una sua consulenza? Accetterebbe?
“Francamente non ci ho mai pensato seriamente. Ma se me lo chiede adesso, le dico che con basi serie ci sarebbe la mia massima disponibilità per mettere a disposizione quello che so. Sì, perché no? Purché sia una cosa seria, ripeto. Con un progetto concreto, che valorizzi anche le squadre del territorio.
La storia passata era finita in una certa maniera, ma io i tifosi li capisco. Il tifoso vuole vincere e per certi versi vanno giustificati. Le passioni scatenano passioni. Uno ci può rimanere anche male, ma non si può non prendere atto che fa parte del gioco”.

Al territorio fermano, diventato Provincia, è mancato nel momento più importante una squadra di calcio che diventasse elemento sportivo identitario. Quella esperienza, a ben vedere, è finita troppo in fretta…
“Una squadra di calcio è importante anche sul piano sociale. Una squadra rappresenta un territorio, deve mirare a coinvolgere il più possibile. Vanno coinvolte le società dilettantistiche, vanno create collaborazioni”.

La chiacchierata finisce qui. La disponibilità di Battaglioni sembra esserci e questa è la vera, nuova notizia di queste ore. Ma il riferimento all’importanza del “progetto chiaro” al momento è aspetto frenante un po’ per tutti. Certo, se le cose dovessero cambiare…

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