La sconfitta della Fermana contro il Pineto rappresenta un momento cruciale di questa stagione. Il secondo momento, per la verità. Il primo c’è stato con l’esonero di Andrea Bruniera e il ritorno di Stefano Protti. Stavolta però ci sono degli elementi aggiuntivi e degli aspetti emersi che invitano a ritenere che si sia arrivati a un crocevia del campionato, quel momento in cui i “se” e i “ma” non hanno più peso – anzi, irritano – e le attenuanti diventano aggravanti. Ma andiamo per ordine e cerchiamo di analizzare la situazione. Precisando da subito che stavolta ci rifiutiamo di fare “pagelle”. E, se proprio dobbiamo fare una valutazione, questa non può che essere pesantemente negativa per tutti. Società inclusa.
Il fattore tecnico
A Pescara la Fermana ha fatto poco. Avrebbe potuto portare a casa un pareggio, certo, se solo Volpicelli non si fosse ricordato di avere un sinistro sprecato per la categoria (forse a torto, il secondo gol dei locali tendiamo a derubricarlo come “evento accessorio”). Ma sarebbe cambiato poco. Quello che rimane negli occhi dei tifosi gialloblù è allora una squadra “zavorrata”, con poca anima e i soliti limiti offensivi.
Eppure avevamo scritto che la stagione dei canarini sarebbe iniziata veramente (l’ennesimo inizio…) proprio contro il Pineto, gara che avrebbe dato il via a un mese di novembre fatto di scontri diretti. E cosa accade, invece? Che proprio contro il Pineto si è vista una squadra di basso profilo, di scarsa presenza, di zero pericolosità offensiva. Era successo qualcosa di simile ad Olbia, un’altra compagine non certo di prima fascia.
Pineto, Olbia… squadre contro cui la Fermana dovrebbe giocarsela e che, invece, mettono maggiormente in risalto proprio la pochezza dei canarini. Pochezza di idee ma, anche, pochezza caratteriale. E pochezza tecnica. Sì, perché ogni compagine ha al suo arco qualche freccia importante. Così l’Olbia, accanto a un manipolo di volenterosi, ha giocatori come Dessena e Ragatzu. Il Pineto ha Volpicelli. La Fermana si arrabatta, si contorce (neppure molto), ci prova, ma anche con il semplice Pineto non è arrivata neppure al tiro, se non in una occasione. E questo lascia interdetti: se contro le grandi molte difficoltà sono messe in preventivo, con le pari grado ci si aspetterebbe la necessaria competitività. E invece c’è sempre un passo indietro sul piano della pericolosità e della efficacia. E se con le grandi non puoi che perdere e con le piccole non riesci a portare a casa risultati positivi, allora… Vabbè, l’esito scrivetelo voi.
Il fattore ambientale
L’aspetto caratteriale viene spesso sottovalutato. Invece, per una squadra che lotta (o dovrebbe lottare) per la salvezza, è aspetto fondamentale, diremmo centrale.
Così è possibile vedere il carattere dei canarini, e l’intensità, in casa con l’Ancona, di fronte a un pubblico caldo e a una discreta presenza ospite, oppure a Ferrara, con un pubblico di serie superiore. Ed è possibile perdere di vista lo stesso carattere in contesti tranquilli, quasi desertici, come – ripetiamo – a Olbia e a Pescara contro il Pineto, stadi ampi e con tifoserie locali non certo pressanti.
E’ come se la Fermana non fosse in grado di produrre energie nervose proprie e usufruisse dell’adrenalina altrui. Che sia dei propri tifosi o dell’ambiente, poco cambia.
E’ questo un fatto grave e oltremodo preoccupante. Perché Manzoni faceva dire a don Abbondio: “Certo il coraggio, uno, se non ce l’ha, mica se lo può dare…”. Ma è anche sicuro che, come chiosava Hermann Hesse, “destino e carattere sono due nomi del medesimo concetto”. A buon intenditor…
Quell’identità che non c’è
L’aspetto di fondo che preoccupa, al netto della pochezza tecnica dell’attacco o della scarsa potenzialità realizzativa, è proprio lo scarso impatto caratteriale e di intensità che la squadra riesce a dare per provare a far sua qualche partita. Diremmo di più: la Fermana è una squadra che non possiede una propria identità.
Tornando a quanto detto prima, infatti, appare ovvio che contro squadre più forti sono gli avversari a dare ritmo e contenuti tecnici alle partite. A quel punto Giandonato e compagni o si adeguano (e fanno discretamente, come con Spal, Gubbio, Entella – nonostante la sconfitta – o Ancona) o si arrendono e crollano pesantemente (come con Cesena e Perugia). Ma quando questa spinta e questi contenuti delle avversarie mancano, i gialloblù sembrano ancora più spaesati. Incapaci di metterci del loro per impostare e fare la gara. E’ questo un aspetto basilare.
Concludiamo questa sessione con una considerazione: a vedere i ‘curricula’ dei giocatori di quest’anno, la Fermana non dovrebbe avere problemi di gestione delle gare e delle situazioni difficili: Calderoni, Padella, Laverone, Gasbarro, Giandonato, Misuraca, Paponi… giocatori con migliaia di presenze dalla Serie A alla Serie C. Ma c’è un momento in cui la differenza tra la rosa di una squadra e l’album delle figurine è minima. A quel punto una squadra diventa solo un agglomerato di giocatori, scollegati sul piano tattico e del “sentire”. Speriamo non sia questo il caso…
La società dov’è?
Dov’è la Fermana? Sì, perché accanto alla squadra sembra latitare anche la società. Protti è sempre in prima linea a parlare e a descrivere una situazione che lui non ha voluto. Il ds Galassi, dopo il match di ieri, è stato mandato a spiegare ciò che è chiaro a tutti. Ma coloro che hanno inciso più di tutti e hanno deciso questa estate di rivoluzionare tutto e rompere il giocattolo, dove sono? Il direttore generale Tubaldi non ha nulla da dire? Chissà, forse arriverà il giorno in cui qualcuno si cospargerà il capo di cenere e passerà la mano. Ma forse sarà troppo tardi. Certo, le tendenze vanno invertite a monte, da parte di chi ha potere gestionale e decisionale. Ma forse il fondo non è stato ancora toccato.
E’ il tempo, durissimo, di abbassare la testa e pedalare. E’ il tempo della fatica fine a se stessa, dell’impegno a prescindere: la direzione è ignota, ma fermarsi sarebbe suicida. Ma non chiedere conto di quanto accaduto fino ad oggi sarebbe ingiusto e professionalmente sbagliato. Certo, ci sarà chi invocherà lo spirito “propositivo”, chi inviterà a “mettere da parte le critiche e a remare tutti nella stessa direzione”. Quante volte, in ogni ambito, sentiamo ciò. L’altro mantra è che servono “soluzioni, non critiche”. E’ dall’estate che va avanti questa litania. Tutto giusto, solo che a chiederlo è sempre chi gestisce, chi dovrebbe avere responsabilità. A cui andrebbe chiesto perché, allora, ha deciso di stare lì.
Dall’altra parte rimangono i tifosi, coloro che si fanno centinaia di chilometri per sostenere una maglia, una storia. La situazione è penosa per tutti, in primis per loro. (da.iac)